Diapason e risonatori

                       Diapason e risonatori.
I due esemplari da sinistra sono delle Officine Galileo Firenze. Il più grande è un Do3 di 256 Hz e quello al centro è un Sol3 di 384 Hz, entrambi nella scala diatonica di Zarlino nella quale il La3 ha frequenza di 426,6 Hz. La scelta del Do3 di 256 Hz definisce la scala come “scientifica”, ma appartiene alla scala naturale diatonica.
Il più piccolo è un La3 di 440 Hz in scala diatonica e anche a temperamento equabile moderna.
È arduo stabilire la data di acquisto dei diapason del Montani poiché dal 1900 in poi ne sono stati inventariati molti, senza nessuna indicazione di riconoscimento certa.
I numerosi esemplari esistenti sono comunque antichi.
Il diapason è costituito da due rebbi e un piede di metallo.
Quando uno dei rebbi viene percosso con un martelletto dall`estremità di gomma, il sistema entra in oscillazione, vibrando a una frequenza fondamentale, poiché presenta elasticità e inerzia. Se il diapason viene tenuto per il piede emette un suono molto debole. Se invece il piede poggia su un corpo elastico il suono emesso è più forte.
Quando il diapason è messo su una cassa di risonanza, si produce un suono di intensità ancora maggiore.
La scatola di legno ha una sola apertura ed ha una lunghezza pari a un quarto della lunghezza d`onda della nota emessa dal diapason (se si trascura l`effetto di bocca). Le sue dimensioni sono importanti per avere una buona risonanza.
Il piede del diapason, oscillando come si vede in una delle figure, fa vibrare il legno della cassa che, nel suo moto, alternativamente spinge fuori e succhia dentro l`aria in essa contenuta con la stessa frequenza fondamentale del diapason, ma con maggiore efficacia. Il suono, se opportunamente analizzato, mostra un a
ndamento dolcemente sinusoidale.
A tale proposito è bene ricordare che il suono nell’aria è un’onda trasversale e consiste nella successione di zone compresse e rarefatte che si muovono normalmente alla velocità di circa 344 m/s a 20 °C in aria secca e a pressione atmosferica standard.
Se si illuminano i rebbi in oscillazione con luce stroboscopica di frequenza idonea, se ne possono vedere agevolmente i movimenti e le ampiezze di vibrazione. In luce normale infatti l`occhio non riesce a percepirne il rapido moto.
Si ritiene opportuno spiegare perché il suono del diapason, senza cassa di risonanza, è debole e si può udire bene solo accostando l`orecchio molto vicino alla faccia esterna di uno dei rebbi.
La prima ragione dunque è che i rebbi nel loro moto spostano poca aria, date le loro piccole dimensioni.
La seconda è che i due rebbi oscillano in senso opposto; pertanto le onde sonore sono in opposizione di fase e interferiscono in modo distruttivo in molte zone circostanti. Se si infila un rebbio in un tubo di cartone, si nota infatti un aumento dell`intensità del suono emesso. Inoltre se si sposta il diapason mentre lo si ascolta da vicino, si possono individuare le zone a bassa intensità sonora.
La terza è che ogni rebbio produce su una faccia una compressione mentre nell`altra faccia si crea una depressione.
La velocità con cui l`aria si precipita da una zona all`altra è maggiore della velocità del rebbio, la depressione viene attenuata e con essa l`intensità del suono emesso.
Questo si verifica poiché le dimensioni del rebbio sono piccole rispetto alla lunghezza d`onda del suono: se il riflusso verso la bassa pressione avvenisse quando il rebbio avesse terminato mezza oscillazione, rafforzerebbe la successiva compressione aumentando così la potenza sonora.
Il problema dell`efficienza del diapason viene comunque risolto dalla cassa di risonanza che, nella sua semplicità costruttiva, provvede a trasformare l`energia meccanica del diap
ason in energia sonora. Un particolare diapason è il corista che emette il La3, poiché questa dovrebbe essere la nota media dell`estensione della voce umana, ma l`attribuzione di un valore univoco alla frequenza corrispondente alla nota, ha una storia tortuosa e indefinita. Il diapason fu inventato da J. Shore nel 1711 e aveva una frequenza di 423,5 Hz. Secondo Goretti-Miniati, Sondhaus assegnò al corista la frequenza di 426 2/3. Scheibler propose 440 Hz ma, nel mondo della musica regnava una certa confusione. A Parigi nel 1700 il clavicembalo e l`organo erano accordati con il La3 di 405 Hz; mentre nel 1833, sempre a Parigi, nei teatri più grandi si usavano quattro coristi diversi: di 426,5 Hz, di 434 Hz, di 435 Hz e di 440,5 Hz. In Italia, il S. Carlo di Napoli aveva adottato 445 Hz, mentre La Scala di Milano aveva un corista di 451,5 Hz. Nel 1834 la Germania adottò il La3 di Scheibler, mentre la Francia nel 1859 sceglieva 435 Hz. Nel Congresso di Vienna del 1885 fu stabilito che il corista ufficiale internazionale era di 435 vibrazioni al secondo, ma, consultando altre fonti, si trova che, negli anni successivi, vi fu una grande varietà nella scelta della frequenza campione da parte di molti paesi. Solo nel 1939 una conferenza internazionale adottò 440 Hz. Oggi, sia la scala cromatica a temperamento equabile, sia la scala naturale o diatonica hanno il La3 di 440 Hz. La scala cromatica normalizzata conserva 435 Hz e la scala scientifica o giusta 426 2/3 Hz.

Nella figura  viene mostrata la trasmissione e ricezione sintonica. Solo se i due diapason sono accordati sulla stessa frequenza, avviene la trasmissione di energia dall`uno all`altro.
Se ad esempio il diapason a destra viene percosso, il suono prodotto entra nella cassa di risonanza del diapason a sinistra ponedolo in vibrazione; infatti se il diapson a destra viene fermato, si ode chairamente il suono emesso da quello a sinistra. La figura 53540 (53341) è a pag. 437 del catologo Max Kohl A. G. Chemnitz (Germany). Price List No. 50, Vols. II and III Physical Apparatus. Rinvenibile all’indirizzo:
https://www.sil.si.edu/DigitalCollections/trade-literature/scientific-instruments/pdf/sil14-51634.pdf
Bibliografia.
P. Caldirola, G. Casati e F. Tealdi, Fisica, Vol. I, Ghisetti e Corvi, Milano 1987; in due preziose pagine viene spiegato come il diapason genera il suono.
B. Dessau, Manuale di Fisica, Vol. II, S.E.L., Milano 1928.
C. Goretti-Miniati, Elementi di Fisica, Vol. II, F. Cuggiani, Roma 1909.
G. Castelfranchi, Fisica sperimentale e applicata, Vol. I, U. Hoepli, Milano 1941.
E. Perucca, Fisica generale e sperimentale, Vol. I, UTET, Torino 1937.
A. Battelli e P. Cardani, Trattato di fisica sperimentale, Vol. II, F. Vallardi, Milano 1913.
O. Murani, Trattato elementare di fisica, Vol. I, U. Hoepli, Milano 1933.
F.S. Crawford Jr., Onde e oscillazioni, La fisica di Berkeley, Vol. II, Zanichelli, Bologna 1972.
  Foto di Federico Balilli, elaborazioni, ricerche e testo di Fabio Panfili.
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