Pendolo di Waltenhofen R.I.T.I.N.


              The eddy current Pendulum.
Eddy currents are induced in conductors in the presence of changing magnetic fields. One of the first observations of eddy currents was made by Bachhoffner of London in 1837 in his design for an induction coil. He found that the coil was more effective when the solid iron core was replaced by a group of iron wires insulated from each other. All subsequent induction coil designs in the 19th century followed this practice. … The pendulum blade made of solid copper would quickly come to rest in the magnetic field; the alternate blade, with slots to break up the eddy currents, swings for a longer period of time.
(www.physics.kenion.edu/EarlyApparatus/Electricity/Eddy_Current_Pendulum.html).
                 Pendolo di Waltenhofen.
Questo tipo di pendolo fu inventato da Adalbert C. von Waltenhofen (1828-1914) verso il 1855.
I due esemplari nella prima foto sono stati costruiti al Montani e inventariati il 25/ 06/ 1943 al n° 1130; il terzo nella foto sotto il testo, risulta dall’inventario D del 1937 al n° 372.
Tutti recano la sigla R.I.T.I.N. (Regio Istituto Tecnico Industriale Nazionale), nome che l’Istituto Montani ebbe dal 1907 al 1935.
Pertanto si ritiene che essi siano stati costruiti molto prima di essere inventariati.
Il pendolo di Waltenhofen mostra gli effetti delle correnti parassite indotte (eddy currents), dette di Foucault.
Un pendolo di rame oscilla avanti e indietro tra i poli di un elettromagnete inattivo; ma non appena sorge il campo magnetico dovuto all’eccitazione dell’elettromagnete, il moto del pendolo viene subito arrestato.
L’elettromagnete è alimentato in corrente continua.
Vedi le figure.
Nel conduttore, che si muove in un campo magnetico non uniforme, si generano per induzione elettromagnetica delle correnti elettriche. Queste, per la legge di Lenz (basata sul principio di conservazione dell’energia), generano forze che tendono a contrastare le forze che muovono il conduttore, producendo un effetto frenante.
Nel caso del pendolo di Waltenhofen, l’energia potenziale gravitazionale iniziale, che possiede il pendolo quando viene allontanato dalla sua posizione di riposo, si trasforma in definitiva in energia termica per l’effetto Joule delle correnti elettriche indotte durante l’oscillazione.
Secondo L. Graetz: «… il fenomeno fu osservato per la prima volta da Gambey nel 1824: esso però fu spiegato solo più tardi da Arago in seguito alla scoperta dei fenomeni di induzione dovuta a Faraday».
Secondo alcuni autori, G. H. Bachhoffner (1810 – 1879) suggerì nel 1837 di sostituire il nucleo compatto all’interno di un solenoide con un fascio di fili di ferro isolati, per evitare le correnti parassite.

Questo fu fatto fino a che si trovò più pratico fabbricare i nuclei con lamine isolate. Infatti, se nel pendolo di Waltenhofen si sostituisce al conduttore compatto un conduttore che presenta fenditure come i denti di un pettine (vedi la figura 16-12), il suo moto dura molto più a lungo poiché le correnti di Foucault indotte sono molto più piccole e in parte si neutralizzano a vicenda essendo contigue e reciprocamente opposte.

Il disegno delle correnti parassite, realizzato da chi scrive, è approssimativo ed eccede per la sua simmetria, ma rende l’idea del loro andamento.
Un uso particolare delle correnti di Foucault si trova negli antichi galvanometri: per ottenere lo smorzamento degli aghi magnetici, questi si fanno ruotare sopra a dischi di rame, come nel galvanometro di Nobili esposto al Museo MITI.
I più sofisticati di quell’epoca hanno l’equipaggio mobile a forma di piccola campana magnetica che si muove dentro una sfera di rame cava, come nella bussola delle tangenti di Pouillet esposta al Museo MITI. Anche in molti strumenti da quadro si ricorreva al moto di dischi di alluminio immersi in campi di magneti permanenti, come si può vedere in questo sito.
Bibliografia.
La figura 16-12 è a pag. 16-7 di: R. P. Feynman, R. B. Leighton e M. Sands, The Feynman Lectures on Phisics, Vol. II, Addison-Wesley P. C., Massachusetts 1964.
L. Graetz, L’elettricità e le sue applicazioni, F. Vallardi Milano 1907.
B. Dessau, Manuale di Fisica, Vol. III S.E.L. Milano 1935. La figura 351 è a pag. 275 di : G. Veroi, Elementi di Eletrotecnica, vol I, U.T.E., Torino 1905, ed anche
nel G. Veroi, Corso di elettricità, Scuola di applicazione d`artiglieria e genio, Torino 1903.
Gomberto Veroi insegnò Elettrotecnica al Montani e ne fu direttore per un breve periodo dal 1908 in poi.
Si occupò anche dell’ampliamento delle officine.
La figura 3-541 è a pag 244 di:  L. Olivieri e E. Ravelli, Elettrotecnica Generale, Vol. I, CEDAM, Padova 1959.
Foto di Daniele Maiani e di Federico Balilli, elaborazioni, ricerche e testo di Fabio Panfili.