Radiometro di Crookes (Museo MITI)

   Radiometro di Crookes.
Nell’inventario del 1912 a pag. 53, n° 901, è detto “radioscopio di Crookes”.
Il modello corpuscolare della luce di I. Newton suggeriva che le particelle di luce avrebbero prodotto una pressione quando una certa superficie fosse stata illuminata.
Anche J. C. Maxwell aveva dedotto dalla sua teoria sulle onde elettromagnetiche che la luce deve produrre una pressione molto debole ma pur rilevabile.
Nel 1875, due anni dopo le previsioni di Maxwell, W. Crookes (1832- 1919) tentò di dimostrarne l`esistenza con la costruzione del radiometro. Ma il suo apparecchio, pur se correttamente concepito, girava in senso opposto a quello previsto. Il radiometro infatti non gira per la pressione di radiazione luminosa, ma per un effetto termico.
Il radiometro è contenuto in una ampolla di vetro simile a una comune lampada, in cui è stato fatto un vuoto non molto spinto (dell`ordine di 1 Pa), ed è costituito da un mulinello formato da quattro palette montato su uno spillo. Ogni paletta ha una superficie lucida (meglio se a specchio), e l`altra annerita. Il nostro esemplare è molto vecchio e le lamine di mica hanno perduto in parte il nerofumo, ma è funzionante.
Se per semplicità seguiamo il modello corpuscolare della luce, sappiamo che, nell`urto elastico di un oggetto contro una parete, l`impulso che riceve la parete è doppio di quello che riceve nel caso di urto anelastico; dunque una particella di luce riflessa ha un effetto doppio di una assorbita. Si prevede quindi che il mulinello, convenientemente illuminato, debba girare nel senso che la parte nera preceda quella lucida, ma ciò non accade, anzi il radiometro gira al contrario poiché ci sono troppe molecole di gas nei dintorni delle palette.
La superficie nera si riscalda molto di più della superficie lucida cedendo molta più energia cinetica alle molecole di gas vicine; queste rimbalzano via con maggiore velocità dalle facce annerite, che ricevono un maggiore impulso di quelle lucide.
Se si diminuisce ulteriormente la presenza dei gas residui nell`ampolla, il radiometro si ferma.
Per funzionare come avrebbe voluto Crookes il radiometro, oltre ad avere un vuoto più spinto, dovrebbe presentare attriti molto minori per poter rivelare la pressione della luce.
Il suo nome deriva dal supporre che la sua velocità di rotazione indichi l`intensità della luce incidente. Comunque esso è interessante didatticamente poiché richiama la teoria cinetica dei gas. Inoltre era usato in laboratorio insieme a una coppia di specchi parabolici metallici per mostrare la propagazione per irraggiamento: nel fuoco di uno specchio si metteva la fiamma di una candela mentre a una certa distanza, nel fuoco dell`altro specchio posto di fronte, c`era, come rivelatore, il radiometro.
Bibliografia.
J. R. Zacharias, La pressione della luce, nella Guida all`uso dei film per l`insegnamento della fisica, Esso Italiana, Roma 1972.
M. Fazio e M. C. Montano, Una nuova fisica, Vol. II, Morano, Napoli 1984.
A. Battelli e P. Cardani, Trattato di fisica sperimentale, Vol. II, F. Vallardi, Milano 1913.

La figura 61-10 è a pag. 264 del Catalogue of Physical Instruments N° 17, L. E. Knott Apparatus Company Boston, 1912 rinvenibile all’indirizzo: https://archive.org/details/catalogofphyinst00knotrich?q=Catalogue+of+Physical+Instruments .
Il radiometro è esposto al Museo MITI, su proposta di Fabio Panfili.
Foto di Federico Balilli, elaborazioni, ricerche e testo di Fabio Panfili.
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